ANALISI

Vedo-non vedo: effetto mafia

“Storicamente le mafie sono sempre state allo stesso tempo visibili e invisibili”, è con queste parole che Enzo Ciconte, esperto di ‘ndrangheta, ex-deputato e attualmente consulente della Commissione Parlamentare Antimafia, ha voluto sottolineare nel corso del convegno La mafia invisibile, svoltosi il 9 e 10 novembre a Milano a Palazzo Marino, la grande capacità delle organizzazioni criminali di stampo mafioso di mimetizzarsi nella società.

La mafia non è solo un problema criminale ma anche politico e sociale e, come tale, è stata per anni vista unicamente come frutto del Mezzogiorno e della sua cultura, riducendo troppo spesso la “questione meridionale” ad una mera questione criminale.Si riteneva il fenomeno mafioso non esportabile in una realtà considerata più progredita come quella del Nord, al punto che nel marzo 1989 l’allora sindaco di Milano Paolo Pillitteri, parlando della mafia nella sua città, dichiarava al Giornale: “Il bello della Piovra è che si tratta di una favola, soltanto di una favola…”. Un errore, questo, che ha portato al mancato riconoscimento della mafiosità di alcune azioni criminali avvenute nelle regioni settentrionali del Paese: nella “Milano da bere” degli anni ’80 prima, e in quella dei primi anni ’90 poi, si è sempre cercato di minimizzare, e forse anche di nascondere, la presenza mafiosa per “non rovinare l’immagine della città”. A parlare è Carlo Smuraglia, membro della Commissione parlamentare antimafia nella legislatura 1992-1994, quella stessa Commissione che in una relazione del 1994 parlava della presenza di diverse mafie nel nord d’Italia e riconosceva in Milano la capitale del riciclaggio di profitti illeciti provenienti da attività di stampo mafioso.

I metodi per riciclare il denaro sporco erano e restano gli stessi: attività commerciali in cui non compra niente nessuno e che in breve chiudono i battenti, società di facciata che falliscono rapidamente, investimenti nell’edilizia.
Dopo all’incirca un triennio di maxi-retate nel periodo 1992-1995 la mafia, per sfuggire alle istituzioni e distogliere l’attenzione da sé, passava dalla strategia del terrore a quella del silenzio: si rendeva invisibile e continuava a posare la propria longa manus sull’attività economica e produttiva e a portare avanti i propri affari. Ottimi affari se, come ricorda il procuratore distrettuale della repubblica di Bologna Enrico Di Nicola citando il recente rapporto di Confesercenti, con i suoi 90 miliardi di fatturato la mafia può essere considerata la prima “azienda” del Paese.

[giuseppe agliastro]

Nessun commento:

Posta un commento

Commenta questo articolo