Bennato ha ricordato gli anni in cui veniva considerato un musicista “da archeologia”. «Accompagnavo mio fratello Edoardo e Pino Daniele al quartiere Santo Stefano, a Napoli: loro compravano chiatarre elettriche, io, invece, mandolini e mandoviole». L’importantissimo patrimonio musicale partenopeo era un sapere da salvare e, in un momento in cui la scena musicale vedeva l’esplodere del rock con Beatles e Bob Dylan, la creatività, secondo Bennato, era da ritrovarsi in un genere che veniva lasciato in disparte, quello della musica popolare. «Quando ero giovane io nessuno voleva più sentire parlare di taranta o neomelodici. Adesso si fanno centinaia di manifestazioni all’anno popolate da giovani spettatori che danzano e cantano come pazzi».
Su un ramo del Lago di Como si sviluppa, invece, la vita e la carriera di Davide Van de Sfroos, cantautore totem della zona lombardo-ticinese. Le sue canzoni in lagheé nascono osservando la realtà che lo circonda sin da adolescente. «Per esprimere le mie emozioni usavo la lingua che tutti parlavano intorno a me, il nostro dialetto. La cosa curiosa è che tutti i discografici dicevano che non avrebbe funzionato, che la musica in dialetto era di serie B». Van de Sfroos ha anche realizzato turneé all’estero dove, visto il nome e il modo di parlare, nessuno credeva fosse italiano, semmai belga o olandese. «Il dialetto non morirà mai e continuerà ad evolversi. In fondo chi avrebbe pensato vent’anni fa a frasi come damm el mouse che g’ho de chataà in internet?».
Per Patrizia Laquidara, giovane raffinata cantante veneta, la scelta della canzone dialettale è nata come una ricerca d’indentità. «Sono cresciuta con le mie due nonne, una siciliana, che suonava benissimo il tamburello, l’altra veneta, che mi raccontava delle bellissime favole popolari. Nessuna delle due parlava in italiano». Il colpo di fulmine per la musica popolare arriva con l’adolescenza, quando Patrizia ascolta per caso Amalia Rodrigues, la regina del fado portoghese. La sua musica, fortemente connotativa di un territorio, la fa iniziare a sperimentare la composizione in alto vicentino. «La musica della Rodrigues sapeva di terra. Io volevo che anche la mia fosse così».
I Teka P hanno iniziato a fare musica per i quartieri di Milano Est, ispirandosi alla tradizione milanese in voga negli anni, da Jannacci a Nanni Svampa e Cochi e Renato. Anche il loro genere è, sotto alcuni punti, tragicomico. «È la cadenza stessa del dialetto a ispirare i temi delle nostre canzoni. Il milanese, infatti, può essere solo ironico o tragico, serioso, ma mai serio». Le loro canzoni sono giochi di parole montati su musiche di ascendenza europea, perché la tradizione cantautoriale ambrosiana si modella sulla grande tradizione francese. I Teka P, tuttavia, utilizzano anche sonorità jazz e blues, musiche mediterranee, melodie rock.
Alla fine della chiacchierata ogni autore si è esibito in due canzoni esemplari del loro repertorio per un pubblico di canute signore in paltò e giovani in scarpe da tennis, pronti a raccogliere il testimone dei loro nonni e a far sopravvivere la cultura dialettale.
[alessia scurati]
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