Le panoplie esposte a Milano si distinguono per la loro squisitezza artistica, poiché appartenevano ai cosiddetti daimyo, dei samurai di alto rango all’interno della corte. Si va da armature con le rarissime protezioni in pelle di razza, considerata un materiale di pregio per realizzare pannelli di protezione, alle lacche colorate cesellate e dorate, alle bordature sgargianti. In una sala si trova persino una preziosa armatura di protezione per la montatura del samurai di turno, nappe rosse e sella dorata, ma soprattutto una sorta di copertura per il muso del cavallo che ne trasforma le sembianze in un cornuto dragone adirato.
L’elemento sul quale ci si sofferma di più è il kobuto, l’elmo del samurai, al quale è dedicata un’intera sala della mostra. Questi elmi sono opere d’arte finemente elaborate, soprattutto negli elementi decorativi che venivano posti sulla parte che copre la fronte. Troviamo, dunque, libellule e farfalle, moltissimi dragoni apotropaici, ma anche delle rare conchiglie ricoperte in oro massiccio. Altri elmi, invece, venivano decorati con delle corna che ricordano i guerrieri vichingi, sebbene le corna scelte dai giapponesi si diramino, preferibilmente in sottili palchi. Oltre agli elmi, in alcune vetrine troviamo scettri di comando piumati, accessori per moschetto sbalzati, gli archi e le frecce, le famose katane, spade dalla lama tagliente, ventagli laccati di rosso.
Nell’ambito della mostra, però, oltre a una visuale complessiva sul mondo dei samurai in epoca passata, si getta una prospettiva verso un passato molto più prossimo, quello dei cartoni animati manga. Anche per i disegnatori moderni dell’ambito, infatti, il modello delle armature dei samurai è stato un punto di partenza per i disegnatori dei robot più famosi degli anni Ottanta. Da Mazinga a Jeeg Robot, tutti questi disegni hanno preso vita dalle ceneri dei samurai, sia per quello che riguarda l’espetto esteriore che per quanto riguarda il codice etico. Delle riproduzioni ad altezza d’uomo di questi personaggi si trovano nella sala finale della mostra per la gioia dei tanti bambini che accorrono alla mostra richiamati dall’aspetto mitico di questi personaggi che, in un modo o nell’altro, sono personaggi comuni della loro infanzia.
[alessia scurati]
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