FILM

Grandi Fratelli con suicidio in diretta

Spingi lo show alle estreme conseguenze, e scopri quanto dista la realtà dal reality: tanto quanto la vita dalla morte. Questa è la risposta di Bill Guttentag, regista di «Live! Ascolti record al primo colpo», il film che inaugura una impietosa distopia del reality showcon un risultato degno del migliore «1984» orwelliano.

Il Grande Fratello, in sostanza, ci guarda, ed è il pubblico americano, incollato alle poltrone e spettatore di «Live!», il primo reality showdove lo spettacolo è il suicidio in diretta: il gioco della roulette russa. Uno showin cui l’antico gusto dell’uomo per la morte del suo simile è riesumato dalle nebbie della storia, dai tempi degli spettacoli nelle arene romane o delle esecuzioni capitali eseguite in piazza. Cinque concorrenti, un solo proiettile. Per chi sopravvive, cinque milioni di dollari per realizzare il proprio sogno. Per chi perde, il sogno si spezza per sempre. Un’idea della produttrice televisiva Kate Courbet, interpretata da una perfetta Eva Mendes, grintosa e senza scrupoli, lanciata nel solo scopo di salvare una emittente televisiva in declino, e nel sogno personale di non restare “una qualunque”, ma di essere ricordata dal grande pubblico come l’autrice di qualcosa di mai visto prima, qualcosa “da 40% di share”. Ci riuscirà, anzi, andrà ben oltre l’immaginato.

La pellicola di Guttentag è un piccolo gioiello dalla perfetta coerenza narrativa. Il film stesso è girato come un documentario: dalla genesi del programma fino alla sua prima puntata, filmato in presa diretta dal video reporter interpretato da David Krumholtz. Accorgimento, questo, che riproduce ed esaspera tanto la logica voyeuristica – resa dalle riprese effettuate con telecamera a spalla – quanto l’ipocrisia della partecipazione alla vita, della “gente” che si racconta: i segreti del successo del reality show. Il pubblico in sala, così, con «Live!» assiste al reality che ha per protagonista una donna pronta a tutto pur di sfondare, e che incarna una logica mediatica che Guttentag, senza falsi moralismi, mostra al colmo di una perversione tanto cieca quanto coerente. Nulla ferma Kate Courbet. Sfrutta la logica dell’introito pubblicitario e della conquista dell’audience - compresa quella minorile – per abbattere ogni ostacolo. Usa la bandiera ideologica americana della libertà di espressione per contrastare ogni appello alla legalità. Manipola la realtà “reale” che, con la sua evidenza, dovrebbe ergersi a garante e a sostegno delle troppo flebili voci del buon senso, assoggettandola al copione dell’interesse mediatico.

Un interesse che si nutre della volontà più o meno ingenua dei partecipanti (ma anche della stessa Kate) di portare un intero Paese a testimone del proprio sogno personale, della propria volontà di redenzione, della propria storia, sia essa lodevole o, come si vedrà nella prima puntata del programma, completamente e inaspettatamente folle. Sogni, volontà e storie che però, con la pistola in mano e col proiettile in possibile viaggio verso il cranio, smettono improvvisamente di essere reality, e tornano ad essere dura realtà. È in quel momento che la distanza tra finzione e verità si annulla: quando il colpo esplode, chi deve comprendere comprende, ma allora sarà troppo tardi. Dopo lo sparo, the show must go on.


[floriana liuni]

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