Nonostante la grave crisi economica mondiale, il professor Tiraboschi si dice ottimista circa la situazione lavorativa nel nostro Paese: «I dati possono spaventare perché in Italia, su 60 milioni di cittadini, solo 23 milioni sono attivi nel mondo del lavoro. Circa il 40-45% di coloro che sono in età lavorativa, infatti, o non lavorano o sono in nero. Detto questo, però, bisogna sottolineare che in Italia il lavoro non manca. Il problema è che i giovani inseguono un tipo di occupazione che il nostro mercato non domanda. Negli ultimi anni si è assistito a un boom delle facoltà umanistiche e di scienze della comunicazione, mentre le aziende ricercano altri profili come infermieri, operai specializzati e ingegneri». Insomma, i giovani dovrebbero studiare in base a quello che il mercato offre e non in base alle loro passioni e capacità.
Non si può dimenticare, però, che in Italia la crisi economica ha finito per aumentare il già numeroso esercito di coloro che sono in cerca di occupazione. A causa della recessione, infatti, non sono stati rinnovati molti dei contratti a termine in scadenza. Così, un gran numero di persone si sono scoperte disoccupate da un giorno all’altro. È doveroso, quindi, interrogarsi sulla bontà e sull’utilità del sistema di lavoro basato sulla flessibilità.
Per Gad Lerner «la flessibilità è stata spacciata come la panacea di tutti i mali, alla stregua di una grande virtù. In realtà, siamo di fronte a una situazione ribaltata rispetto al passato, quando la migliore qualità era l’inflessibilità. Oggi si ha la pretesa ideologica di plasmare l’uomo modificando la sua stessa indole, che è di natura stabile».
Di tutt’altro avviso Tiraboschi: «Non so se la flessibilità sia o meno un valore. So che è un modello di occupazione che permette a un gran numero di disoccupati di affacciarsi al mondo del lavoro per la prima volta. È il primo passo verso un contratto a tempo indeterminato. Nonostante questo gran parlare intorno al tempo determinato, ancora oggi l’83% dei contratti è a tempo indeterminato. La vera anomalia italiana è che i giovani entrano nel mondo del lavoro intorno ai 30-32 anni e il vero problema è la diffusione del lavoro sommerso».
In effetti, nell’indagine del Cnel dal titolo Il lavoro che cambia. Contributi tematici e raccomandazioni, presentata il 2 febbraio a Roma, si evidenzia come il lavoro nero sia un fenomeno in lenta ma costante crescita, che si diversifica nelle varie regioni in base al contesto socio-economico. Il lavoro nero aumenta con l’aumentare della disoccupazione e conseguentemente si concentra nel Mezzogiorno. Le condizioni peggiori colpiscono immigrati, donne e giovani.
Nell’indagine Cnel emergono i vari problemi che attanagliano il nostro mercato del lavoro. L’Italia è il paese che tra il 1990 e il 2005 ha registrato l’incremento più marcato dell’incidenza dei lavori temporanei sull’occupazione dipendente. Dalle ricerche effettuate, si scopre che molti lavoratori temporanei rimangono più di un anno in queste condizioni, senza avere la possibilità di sperare in un contratto indeterminato. Nei casi in cui si verifica la conversione da contratti temporanei a permanenti, essa è più frequente per i giovani.
Altro nodo da sciogliere rimane il differente trattamento riservato alle donne lavoratrici, che faticano a raggiungere posizioni direzionali e che, a parità di ruolo, ricevono una paga più bassa rispetto agli uomini. Ancora troppe sono le donne costrette a sacrificare il lavoro in nome della famiglia e dei figli. Il problema più evidente rimane l’inadeguatezza degli stipendi rispetto all’aumento dell’inflazione e del costo della vita.
[daniela maggi]
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