TERZO SETTORE

Volontariato e noprofit, è primato in Lombardia

La Lombardia patria dell’assistenza sociale. È questo il risultato che emerge dall’indagine effettuata dalla Camera di commercio di Milano, che registra un aumento del numero di imprese del settore del 19% in tre anni. Sono 4.443 le aziende iscritte al registro delle imprese, pari al 18% dell’Italia intera, di cui il 48,6% si concentra a Milano e provincia. Anche Brescia e Mantova registrano un buon passo in avanti, rispettivamente con un aumento del 36,1% e del 26,3%. Dal 2005 in Lombardia le imprese di assistenza sociale non residenziale, come asili nido e assistenza domiciliare agli anziani, passano da 739 a 1.010.


Un dato importante quello che emerge da questa elaborazione e che acquista ancora più valore se confrontato con i risultati del secondo rapporto sul volontariato milanese realizzato da Ciessevi e Provincia di Milano. La Lombardia si attesta come prima regione d’Italia con un buon 20%, corrispondente a 56.000 volontari impegnati in 1.162 associazioni, che aumentano ogni anno di 40. Abbiamo chiesto di commentare questi dati a Gianpaolo Barbetta, docente di politica economica e direttore del Centro di Ricerche sulla cooperazione e sul nonprofit dell’Università Cattolica di Milano.

Il rapporto Ciessevi conferma la Lombardia al primo posto per il volontariato, con 56.000 volontari. Un esercito numeroso, ma di cui forse si parla troppo poco.
«Il dibattito sul volontariato è spesso relegato alle riviste specializzate, sui grandi media se ne parla di solito in occasione di ricerche o indagini come in questo caso, ma anche in occasione di servizi di rilievo. Nei campi rom o nell’assistenza agli immigrati, il loro operato viene ampiamente riconosciuto per il suo valore, ma soprattutto per la sua necessità, perché i volontari si trovano a colmare una lacuna di cui nessun altro si interessa».

La maggior parte dei volontari sono persone con più di 50 anni. Come si potrebbe coinvolgere un numero maggiore di giovani?
«Non ci sono ricette semplici per risolvere questo problema. Anche le campagne di comunicazione risultano spesso dei semplici palliativi. L’adesione al volontariato da parte dei più giovani dipende quasi sempre da un moto di coscienza individuale, perché si condividono valori e principi. Una tendenza del volontariato degli ultimi anni è stata quella di tradursi in un servizio di welfare, un impegno che porta a caricarsi di oneri eccessivi e che di conseguenza attira solamente persone che non hanno impegni di lavoro o di studio, come i pensionati. Il volontariato invece dovrebbe riscoprire le sue origini, ritornare a generare relazioni sui territori, altrimenti rischia di diventare un’attività per pochi».

Spesso le associazioni lamentano un rapporto difficile con le pubbliche amministrazioni, soprattutto per quanto riguarda l’assegnazione del 5 per mille. Cosa dovrebbe fare la pubblica amministrazione per risolvere questa difficoltà?
«Ci sono dei meccanismi precisi per l’assegnazione del 5 per mille, le associazioni di volontariato non devono temere il fatto che quel denaro non gli venga assegnato perché gli enti locali non hanno discrezionalità sul 5 per mille. Certamente la pubblica amministrazione dovrebbe accelerare i tempi ed è auspicabile una maggiore celerità per l’assegnazione del 5 per mille alle diverse associazioni».

Secondo la Camera di commercio le imprese legate all’assistenza sociale registrano un notevole incremento.
«Ormai è un dato consolidato, le stesse pubbliche amministrazioni ricorrono sempre più spesso a soggetti privati senza fini di lucro, come le cooperative sociali, per servizi di assistenza sociale come asili nido e assistenza domiciliare agli anziani. È un dato che dimostra la volontà non solo di risparmiare, ma anche di dotarsi di maggiore flessibilità».

Il Comune di Milano ha approvato per il 2009 delle nuove linee guida per l’accreditamento delle imprese che erogano servizi alla persona, evitando bandi di gara e lasciando libertà di scelta ai cittadini. Rappresenta un passo in avanti?
«L’idea di fondo è buona perché rimette nelle mani dei cittadini la possibilità di scegliere. È forse proprio questo il punto: capire se i cittadini avranno una vera libertà di scegliere i soggetti che erogano questo tipo di servizi. A volte il difetto degli enti locali è quello di produrre un cambiamento e di non valutare a posteriori se questo nuovo sistema funziona o se era meglio quello precedente. In questo caso si passa da una scelta centralizzata a una libera scelta, seppur vincolata dai criteri dell’accreditamento. Con questo nuovo sistema inoltre si crea un sistema di “quasi mercato”, come quello che c’è oggi anche nella sanità. Le imprese di assistenza sociale diventano più competitive, aderiscono alle leggi di mercato».


[alessia lucchese]

Nessun commento:

Posta un commento

Commenta questo articolo