« Non c’è che da concordare con Sennet – commenta il professor Eugenio Zucchetti dell’Università Cattolica –: oggi il mondo del lavoro ha bisogno di una maggiore dimensione etica e di una maggiore qualità, intesa come competenza ma anche come amore per il lavoro». « In fondo – osserva Zucchetti – Sennett non fa altro che esplicitare un aspetto noto da tempo: l’emergere all’interno del lavoro dipendente di lavori-professioni con una propria autonomia e competenza. Questo fenomeno avviene sia nell’industria che nel terziario: basti pensare al marketing o ai programmatori. Il problema è che queste nuove figure di artigiano emergono solo a livello elitario». Ma il sistema italiano, secondo Zucchetti, è ancora contraddittorio: da un lato necessiterebbe di ampliare lo spettro delle figure professionali con una formazione ad hoc, dall’altro non è in grado di assorbire nemmeno i laureati che produce. «L’Italia deve capire che bisogna competere sulla qualità e non sui prezzi perché, su quest’ultimo fronte, è sbaragliata dai Paesi emergenti come, ad esempio, la Cina».
L’Italia, dunque, è ancora un Paese d’artigiani e di piccole imprese? Sì, ma si tratta di figure che vanno scomparendo insieme alle vecchie botteghe. Solo gli immigrati stanno progressivamente riempiendo gli spazi disdegnati dai nostri giovani. «Ciò su cui vorrei mettere l’accento – sottolinea Zucchetti – è che in Italia scontiamo la bassa considerazione in cui è tenuto il lavoro manuale, da sempre visto come di serie B. A meno che l’artigiano non sia un’artista: in questo caso, ma solo in questo caso, è preso in considerazione». Ancora una volta il problema tocca la formazione di cui in questi anni si è parlato molto a sproposito. «La formazione deve essere tutta di qualità perché formazione di qualità non è uguale solo a università. Del resto, non va necessariamente prolungata fino all’Università. Finora la tendenza è stata quella di liceizzare il percorso formativo ma la formazione professionale ha bisogno di tanti investimenti in più».
[ivica graziani]
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