«Qui funziona che io incarto, tu paghi e poi porti via», spiega con spiccato accento romano il banchista (bengalese) al cliente (italiano) di un chiosco di macelleria (gestito da romeni). Mercato stabile dell’Esquilino, primo municipio di Roma: qui i rivenditori italiani sono la minoranza e la nazionalità dei commercianti e delle loro merci rispecchia la composizione etnica dell’intera città. Così, di fronte al chiosco di alimentari cinesi c’è il venditore di funghi, italiano con aiutante bengalese, e a pochi banchi dallo stand africano c’è quello di conserve romene, e poi quello di alimentari latinoamericani. Ma a fare la parte del leone sono i box dei bengalesi, che vendono a bangladeshi, indiani e pakistani spezie e risi profumati, e tutti i giorni fanno concorrenza ai negozi di alimentari fuori dal perimetro delle bancarelle.
A dirla tutta, il mercato dell’Esquilino è sempre stato un luogo di commistione: fino al 2003 era in piazza Vittorio Emanuele, fulcro del quartiere umbertino, e le bancarelle convivevano con i ruderi e la “porta magica”, dove è incisa l’indecifrabile formula alchemica per fabbricare l’oro. Poi ha cambiato sede e coinquilini: gli alimentari sono nella ex caserma Pepe e nella ex caserma Sani ci sono abbigliamento e calzature, nonché le aule dell’università “La Sapienza”. E da dipendenti, gli immigrati sono diventati poco per volta titolari delle licenze: oggi, secondo i dati del Corime (il coordinamento dei rivenditori del mercato Esquilino), circa metà delle 170 rivendite è gestita da stranieri e il 60% di loro è titolare di licenza.
La commistione dell’Esquilino è un caso unico nel panorama della capitale: nell’intero municipio, che include altri quartieri del centro, vive la più numerosa comunità straniera della città (22,9% dei residenti), e di questa oltre il 32% è di origine asiatica, riporta l’Osservatorio Romano sulle Migrazioni della Caritas diocesana. Ma in generale, spiega un altro studio della Caritas, le comunità immigrate prediligono l’imprenditoria: nei primi anni Ottanta gli stranieri iscritti alla Camera di commercio come titolari d’impresa o associati erano il 3,4%, dopo 20 anni, grazie anche al mutamento delle politiche per l’immigrazione, il numero è salito al 45%. Insomma, nel luogo dove più è concentrata la presenza di stranieri si concentra anche il mercato internazionale delle merci.
Nonostante la progressiva integrazione nel sistema imprenditoriale, però, permangono difficoltà nella comunicazione. Non mancano casi di immigrati che parlano perfettamente in italiano e padroneggiano un'ironia tipica romanesca; ma molte volte la barriera linguistica e culturale è impenetrabile. Finché si tratta di pagare o chiedere un chilo o due di rape non c'è problema, ma per sapere se è in vendita menta fresca è necessario ricorrere all'inglese dopo un paio di tentativi in italiano. E se si tratta di parlare di loro stessi, dei loro clienti, di come vivono il mercato, i banchisti, soprattutto i bengalesi, dicono di non capire neanche l’inglese. Alla sartoria “Vhai vhai”, un box con un ampio bancone e due piani per la stiratura dei capi, nessuno sembra conoscere il proprietario. Qualche volta c’è chi si sbottona, e racconta degli affari: il gestore di “Indian shop”, uno stand di stoffe, dice che da quando si è trasferito nel mercato coperto le sue clienti, «di tutti i Paesi, non solo indiane», sono diminuite perché non sanno dove trovarlo.
Per facilitare le relazioni tra le comunità straniere e tra queste e quella italiana, dal 2005 il Comune di Roma ha allestito una sede del progetto “Mediazione sociale” proprio all’interno del mercato. «È uno strumento di progettualità territoriale e di costruzione di reti sociali con il quale reagiamo alle questioni che la popolazione ci pone», spiega Leonardo Carocci, responsabile del progetto per l’Esquilino. «Con la campagna “Esquilindo”, per esempio, abbiamo sensibilizzato la popolazione sull’importanza della pulizia delle strade, realizzando tra l’altro cartelli in otto lingue. Il prossimo passo – anticipa Carocci – sarà utilizzare la filodiffusione interna al mercato come canale comunicativo per avvicinare le culture e rendere sempre di più il mercato dell’Esquilino un mercato della socialità».
[ornella sinigaglia]
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