L’omicidio di Nicola Tommasoli, pestato a morte da cinque ragazzi cui aveva negato una sigaretta, ha scioccato la città di Verona. Gli assassini frequentavano lo stadio: tanto basta perché la tifoseria veronese, nota per episodi di violenza e razzismo, venga messa di nuovo sotto processo. Ma i veri tifosi, le storiche Brigate Gialloblu, non ci stanno: «Quei ragazzi in curva non li abbiamo mai visti – racconta A. L., 25 anni –. Ci conosciamo tutti bene e ci chiamiamo per soprannome». A. L. è in curva sud da ventidue anni: «Mio nonno mi ha portato allo stadio per la prima volta nel 1985, l’anno dello scudetto». Vive a Milano da sei anni, ma torna a casa ogni fine settimana per seguire la squadra del cuore: «Negli ultimi tempi – racconta – i controlli allo stadio sono più severi: ai tornelli serve almeno mezz’ora tra documenti, metal detector e perquisizione. Siedo sempre al centro della curva sud con gli ultras più tosti, le grandiose Brigate Gialloblu». I tifosi dell’Hellas sono accomunati da un senso di appartenenza forte: «In curva siamo tutti veronesi: parliamo e cantiamo in dialetto. Non tifiamo solo per gli undici in campo, ma per i colori della nostra città». A. L. sa della fama della curva sud e in particolare delle Brigate Gialloblu: «Ci conoscono come una delle tifoserie più violente e intolleranti d’Italia. L’appartenenza politica della curva non è solo una leggenda – ammette –: le Brigate sono di destra estrema, ma in quest’ultimo anno non ci sono stati episodi di violenza o razzismo. Il nostro comportamento corretto è frutto dei controlli delle forze dell’ordine e della Lega Calcio. Non vogliamo creare problemi alla società: la sola cosa che conta è continuare a vedere la squadra in campo e sostenerla. In passato – prosegue – le Brigate Gialloblu hanno compiuto gesti clamorosi: mi viene in mente, ad esempio, il manichino raffigurante un giocatore di colore che venne impiccato sotto la curva. Ma oggi è tutto diverso: i buu razzisti che gridavano una volta contro i giocatori di colore non ci sono più». A. L. respinge le accuse della gente: «Sono fiero di essere un tifoso dell’Hellas. Per noi butei – ragazzi in dialetto veronese – in curva è sempre una festa. Anche adesso che lottiamo per restare in C1 sappiamo prenderci in giro. Inventiamo sfottò sempre nuovi per gli avversari, ma non gli manchiamo di rispetto». A. L. torna serio sull’omicidio Tommasoli: «Cinque deficienti non rappresentano una città. Verona è civile e tollerante. Non è giusto distruggerne l’immagine per riempire le pagine dei giornali: l’omicidio di un giovane basta a suscitare indignazione». «Cinque cretini – prosegue – hanno compiuto un gesto ignobile, e uno di loro frequentava la curva: forse questa è una ragione sufficiente per far passare l’omicidio in secondo piano e condannare tutti i tifosi?».
[giovanni luca montanino]
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