Mentre tutti si sforzano di trovare le parole adatte per consolarlo e convincerlo a reagire, dal fratello Carlo (interpretato da Alessandro Gassman) alla cognata Marta (una brava Valeria Golino), Pietro passa le giornate su una panchina di fronte alla scuola di Claudia. Teme che, non vedendolo soffrire, la bambina non riesca a provare dolore per la scomparsa della madre.
«La sfida che ho raccolto con questo film è quella di restare insieme al protagonista per la maggior parte del tempo nello stesso luogo e provare a non trasmettere mai la sensazione di staticità – spiega Grimaldi –. Dal romanzo di Veronesi ho tratto questa suggestione: Pietro rimane davanti alla scuola non soltanto per sorvegliare la reazione della figlia, ma soprattutto per vigilare sul racconto della propria vita, per tenerlo saldo tra le mani». Sulla sua panchina, il protagonista osserva il mondo che gira intorno a lui e vive di riflesso la vita degli altri personaggi. Tutti, infatti, con la scusa di stargli vicino in un momento così doloroso, finiscono per confidargli i problemi quotidiani e per cercare in lui un consiglio. «Pietro rappresenta lo spaesamento dell’uomo “moderno” davanti all’impossibilità di elaborare un lutto, senza poter confidare né in una tradizione religiosa, né in una laica – continua Grimaldi –. Ogni scena ruota intorno a lui, sia in senso figurato sia in senso fisico». Proprio questo è, nello stesso tempo, il senso centrale della pellicola e il suo punto di debolezza: tutta la storia è raccontata esclusivamente dal punto di vista di Pietro e quindi il film, nonostante l’ottima interpretazione di Nanni Moretti, risulta lento. La vicenda si sviluppa con fatica e l’ormai famosa scena hard (4 minuti sui 112 totali) arriva d’improvviso, senza contestualizzazione, cogliendo di sorpresa lo spettatore. Solo nelle ultime sequenze Pietro inizia a riaprirsi alla vita, risvegliandosi da un lungo torpore. Come dire: dopo la difficile esperienza del caos calmo, nel cuore di tutti può tornare il sereno.
[lucia landoni]
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