CINEMA

L’Italia multietnica in Bianco e nero della Comencini

Quarant’anni fa in America, oggi in Italia. Era inevitabile, prima o poi anche nel Belpaese gli extracomunitari avrebbero avuto una promozione: da immigrati a partner sentimentali, come accade nel celebre film del 1967 di Stanley Kramer Indovina chi viene a cena?. Con Bianco e nero Cristina Comencini porta sul grande schermo l’Italia multietnica, mettendo in scena i luoghi comuni, gli stereotipi e i falsi moralismi che contraddistinguono la società di oggi (e di sempre). E lo fa con il tono della commedia, scegliendo di rappresentare non l’immigrato che vive ai margini della società ma quello ben inserito in un ambiente borghese, dove la differenza tra bianco e nero non dovrebbe avvertirsi.

Protagonisti di un amore fedifrago sono Carlo (Fabio Volo), un uomo italiano sposato con Elena (Ambra Angiolini) e Nadine (Aissa Maiga), bellissima moglie senegalese di un collega nero di Elena. Quest’ultima è una mediatrice culturale dell’Amref (African Medical and Research Foundation) che ha speso tutta la vita in favore delle attività umanitarie e che, riempiendosi la bocca d’Africa, è convinta di scontare le sue colpe borghesi, come quella di avere una cameriera nera che serve a casa. Carlo invece è un tecnico informatico del tutto indifferente ai mali del continente nero ma l’incontro con Nadine gli spalanca le porte di una nuova vita, sentimentale e sociale. Quando la loro passione viene scoperta però le maschere dei benpensanti cadono e tutti si scoprono razzisti, sia bianchi sia neri. Per l’amore meticcio sembra non esserci ancora vita facile. Il film è divertente e ironico, e alla Comencini va riconosciuto il merito di aver dato visibilità a quell’Italia multirazziale, finora poco rappresentata nel nostro cinema, in cui gli extracomunitari non sono più solo degli emarginati ma ricoprono una posizione di rilievo nella società. Nonostante questo però, la regista non riesce ad analizzare il problema dell’integrazione razziale fino in fondo, rimanendo sulla superficie e giocando troppo sui luoghi comuni. Alcuni cliché risultano ridondanti, quando non stucchevoli, come quello della donna benestante che crede che tutti i bambini neri siano poveri e debbano essere trattati con pietosa compassione o quello dell’amore impossibile tra bianchi e neri come unico modo per vincere i pregiudizi. Anche le location sono volutamente in contrasto: le ambientazioni della Roma bene, fatte di monumenti e vie di lusso, cozzano con quelle brulicanti dei quartieri neri, dalla stazione Termini al Colosseo , da Villa Borghese all’Eur. Alla base del film c’è comunque una verità scomoda. La diversità attrae e spaventa allo stesso tempo. Ne è convinto l’attore Eriq Ebouaney, che nel film interpreta il marito di Nadine e ha raccontato di quanto si è spaventato la prima volta che, da piccolo, ha visto un uomo bianco. «Ho urlato così forte – spiega l’attore francese – perché ho creduto che fosse un fantasma». Sono lontani i tempi dell’apartheid e ancora di più quelli in cui si cantava Faccetta nera, ma il colore della pelle sembra essere ancora oggi una barriera invalicabile. Chissà quando la moglie e i buoi potranno venire dai Paesi altrui.

[beatrice scardi barducci]

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