L’allarmismo sui costi economici dell’invecchiamento della società non è favorevole al benessere degli anziani, sostiene Marco Trabucchi, geriatra e presidente del comitato scientifico della Fondazione. I vecchi sono «produttori di ricchezza che contribuiscono ai costi dei non autosufficienti», sottolinea Trabucchi, ma questo potenziale non è considerato dalla società e dall’economia. Creare una terza economia, un sistema che preveda strumenti che favoriscono l’accesso degli anziani al mercato senza per questo mercificarli, può contribuire al loro benessere e a quello di tutta la società, assicura Trabucchi. Le problematiche che la terza economia vuole risolvere sono quindi tre: il lavoro degli anziani, il consumo di beni «non ghettizzanti» e la creazione di strumenti finanziari e assicurativi ad hoc. Accendere un mutuo a 50 anni per comprare una casa e lasciarlo in eredità ai propri figli: in nord Europa è possibile. E la statistica dimostra che affrontare l’acquisto di un immobile non rende più difficile far quadrare i conti agli anziani, ma permette loro di distribuire in maniera più efficiente le risorse economiche. Secondo il professor Guglielmo Weber, responsabile per l’Italia dell’indagine europea Share (Survey of Health, Ageing and Retirement), gli anziani costituiscono «una capacità finanziaria male utilizzata» soprattutto nell’Europa mediterranea.
Ma la malattia si può procrastinare? Sembrerebbe di sì. Le esigenze dei vecchi sono prevalentemente legate all’uso del tempo e al significato della vita, e la salute, soprattutto nei pensionati, è condizionata dagli stili e dalle condizioni di vita. Secondo i dati forniti dai promotori della terza economia, solo il 10 per cento degli anziani non è autosufficiente; il restante 90 per cento potrebbe allora impiegare le proprie forze e competenze professionali in servizi di assistenza alla persona.
Nobili intenti, che rischiano però di scontrarsi con quella parte di popolazione contraria alle riforme pensionistiche. Ma proprio il pensionamento, per Trabucchi, «è una sventura, eccezion fatta per i lavori usuranti, perché comporta la perdita del senso di appartenenza e il controllo della propria vita dato dall’impiego».
[ornella sinigaglia]
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