«Commettere un delitto per denaro sovverte ogni gerarchia di valori che sono alla base di una convivenza serena, ma attenzione a non criminalizzare un’intera comunità. Così non ci sarà vera integrazione». Convivenza e integrazione. Tornano molte volte queste parole nell’omelia dell’abate Erminio De Scalzi durante il funerale di Marzio Colturani, il ginecologo ucciso nella notte fra lunedì e martedì nella sua casa in via Camerino durante una rapina. Secondo le prime indagini, i quattro banditi che hanno legato e imbavagliato il medico milanese, provocandone la morte per soffocamento, avevano uno spiccato accento dell’est. Si riaccende così, intorno a questo delitto, il dibattito sugli immigrati e sulla sicurezza, vivo anche fra i molti amici e conoscenti presenti alla celebrazione tenutasi stamani alle undici nella Basilica di Sant’Ambrogio a Milano. Si avvicinano all’entrata in silenzio. Si fermano per un attimo, firmano il quaderno vicino al portico e vanno a fermarsi nel chiostro per aspettarlo, per dargli l’ultimo saluto, da vicino. Marzio Colturani lo conoscono per averci lavorato fianco a fianco. Sono i colleghi medici, infermieri o infermiere dell’ospedale S. Giuseppe. Ma sono anche le pazienti: «Io sono venuta perché vent’anni fa mi ha salvato la vita. Per riconoscenza glielo dovevo», dice una signora in lacrime mentre fra la gente raccolta nel quadriportico di Sant’Ambrogio passa il feretro coperto di rose bianche.
Dietro ci sono i figli. C’è Matteo, il giornalista, 34 anni, e dietro di lui i colleghi di Telelombardia. C’è Luca, di 30, che il padre se l’è visto morire fra le braccia dopo essersi liberato dal nastro con cui i banditi l’avevano legato. Stretti nel dolore s’immergono nella navata centrale con contegno. Ma quando monsignor De Scalzi inizia la sua orazione, a fatica, trattengono le commozione. Milano è colpita nel profondo. La gente chiede sicurezza. «Io non sono razzista, massimo rispetto per chi lavora, ma così non si può andare avanti, vengono in Italia perché sanno che qui subirebbero pene meno severe se venissero presi», dice un’infermiera che con Colturani ha lavorato cinque anni. È anche per questo che al suo funerale, stamane, erano molti i giornalisti e gli operatori delle Tv locali. La sua morte rinfocola l’incertezza e la polemica mediatica sulla sicurezza.
Un dibattito a cui neanche la Chiesa si sottrae: «La magistratura faccia presto ad assicurare i colpevoli alla giustizia, ma Milano stia attenta: non prevalgano sentimenti di intolleranza e discriminazione generalizzata verso un’intera comunità. La città non deve diventare luogo di paura e di violenza, di divisione, ma luogo di convivenza serena, di incontro e integrazione». Poi arriva l’appello alle istituzioni, affinché si assumano le proprie responsabilità. Ma quelle stamattina sono rimaste in disparte. Importava di più il rispetto del dolore.
[mario neri]
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta questo articolo