SCIOPERO

Metalmeccanici, le rivendicazioni dello sciopero

Lo chiamano corteo dei metalmeccanici, forse troppo semplicemente, come se fosse un universo monolitico. Ad attraversare questo colorato serpentone invece si scoprono mondi diversi per esperienze, per categorie, prima ancora che per sigle sindacali o provenienza geografica; soprattutto un mondo composito che esprime un disagio che non sta solo nella busta paga anche se il tema dell’adeguamento salariale è quello più urgente e più spendibile mediaticamente.

La categoria chiede un aumento di 117 euro. Finora Federmeccanica si è dichiarata disponibile ad arrivare fino a 70. I metalmeccanici si fanno poche illusioni ma sperano di raggiungere il compromesso ragionevole di 90-100 euro. “È normale chiedere un po’ di più sapendo che per la negoziazione non si ottiene mai ciò che si chiede; sappiamo che bisogna perseverare, questo è soltanto la seconda tranche di otto ore di sciopero. Non mi stupirei che dovessimo arrivare a 70-80 ore”, dice un metalmeccanico della Fiom milanese.

Ma il refrain dello stipendio troppo basso non esaurisce il quadro delle richieste che affrontano problemi ugualmente urgenti, dei quali i metalmeccanici hanno una grande consapevolezza. Un capitolo importante riguarda la lotta alla precarietà e la previsione di percorsi di stabilizzazione dei contratti temporanei. La categoria chiede una riduzione efficace della precarietà del lavoro applicando percentuali massime al suo utilizzo, prevedendo il diritto di precedenza dei precari in occasione dell’assunzione di nuovi dipendenti e negoziando la trasformazione dei rapporti di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato. Molta attenzione viene dedicata anche alla questione dell’inquadramento, regolato da norme che sono ferme al 1973 e che, secondo i lavoratori che erano oggi in piazza, non possono dar conto di una realtà lavorativa che è diventata più complessa e frammentata. Rigidità che hanno anche un riflesso economico, che determinano posizioni di rendita e disparità non giustificabili.

E poi c’è la questione della sicurezza. Un nuovo incidente mortale, avvenuto alla Fondver di Verona, ricorda quanto ancora ci sia da fare in questo campo. Un sindacalista Fiom di Palazzolo sull’Oglio lo spiega con molta chiarezza: “Non chiediamo solo più investimenti, più risorse per adeguarci a livello di strutture e strumenti di protezione, ma anche più formazione e informazione, corsi di aggiornamento, più tempo per discutere di questi problemi”. Queste esigenze riguardano soprattutto i lavoratori precari, spesso assunti attraverso agenzie interinali, che passano da un’azienda all’altra senza la possibilità né il tempo di acquisire le necessarie competenze. “Non è un caso che la maggior parte degli incidenti sul lavoro riguardi i lavoratori precari”, puntualizza un lavoratore che qualche giorno fa ha assistito all’infortunio di un collega. “Questi drammi avvengono quotidianamente ma nessuno ne parla”.

Infine ci sono le difficoltà di integrazione dei tanti nuovi lavoratori stranieri e le rotture di dialogo all’interno degli stessi sindacati dovute al ricambio generazionale. Nell’incertezza generale, osservano i lavoratori più anziani, le aziende rispondono frammentariamente e guardando esclusivamente ai propri interesse. Le fabbriche si rinchiudono in sé e diventano quasi dei microcosmi impermeabili autoregolati. Per scoraggiare proteste e scioperi, concedono ai lavoratori contratti interni con premi di produzione e risultato. Si arriva fino a tre forme di incentivo che permettono di guadagnare circa 1200 euro l’anno, ma la sostanza non cambia. “Tenuti buoni da piccole concessioni, molti lavoratori non scendono in piazza oppure preferiscono scioperare da casa”, osserva un ex sindacalista, Roberto Rava. “I più giovani hanno sempre meno fiducia nei confronti di qualsiasi istituzione. E’ necessario trasmettere una cultura sindacale profonda alle nuove generazioni che non ne conoscono la storia”.

[alberto tundo & marzia de giuli]

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