CINEMA

Lascia perdere, Johnny!: debutto alla regia per Bentivoglio

Lascia perdere, Johnny! segna il debutto alla regia di Fabrizio Bentivoglio. Un debutto all’insegna di tre temi: musica, disagio giovanile, ingenuità. In effetti, il film segue tre filoni portanti, ognuno dei quali individua un preciso momento della vita del giovane protagonista, Faustino. Ci troviamo negli anni ’70 a Caserta. Fausto è orfano di padre. Vive una vita senza alti né bassi, sembra quasi farsi trascinare dagli eventi senza prendere decisioni che possano dare una sterzata alla sua esistenza. Inizialmente, è alle prese con il rinvio militare: può ottenerlo solamente con un contratto di lavoro e l’unica possibilità che ha è quella di contattare un vecchio bidello che, occasionalmente, organizza dei tour musicali nei paesini dell’entroterra campano.

Faustino dimostra del talento e ben presto si ritrova a suonare nella “Piccola Orchestra di Augusto Riverberi”. Tra il grande musicista e Fausto si crea un rapporto speciale. Augusto introduce Johnny - così il maestro chiama Fausto - nel mondo dello spettacolo, promettendogli una grande carriera. Ma, contemporaneamente, lo avverte: “lascia perdere, Johnny”. Inizialmente film da disagio giovanile anni ’70, Lascia perdere, Johnny! diventa un film corale, in cui la musica diviene protagonista, e in cui ci si concentra sul malsano mondo dello spettacolo. Sono anche gli anni dell’ingenuità, anni in cui i ragazzi si fidano ciecamente di persone non propriamente affidabili, consegnando nelle loro mani il proprio destino. In realtà Fausto è alla ricerca di amici e di quel riferimento che nella sua vita manca ormai da diversi anni. L’atmosfera di Lascia perdere, Johnny! è volutamente ovattata, ma costellata da momenti di ilarità. Questi finiscono per costituire l’anima principale della narrazione, rendendo in alcuni momenti Lascia perdere, Johnny! più divertente che serioso. La prova degli attori è buona a tratti, ma non tutti riescono a tenere il passo della Golino e dello stesso Bentivoglio. Il rischio è che in alcuni momenti molti personaggi appaiono come caricature di sé stessi. La contestualizzazione provinciale alla quale il cinema italiano è ormai abituato e la scelta di raccontare dal di dentro il mondo dello spettacolo che porta sulla strada sbagliata, danno allo spettatore la sensazione di già visto. L’impostazione ironica voluta da Bentivoglio è da elogiare, ma forse l’artista milanese avrebbe potuto e dovuto osare di più sui temi e su alcune scelte narrative.

[rosario grasso]

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