ISRAELE

Vince Kadima: e il Paese si fa laico e nazionalista

«Più ansiosa e con meno speranze». Questo è il ritratto emotivo che Piergiorgio Grassi, docente di sociologia della cultura ebraica all’Università di Urbino, fa della società israeliana emersa dalle elezioni dello scorso dieci febbraio. «Comunque – spiega il professore – la situazione è fluida. Le politiche che Obama attuerà nel prossimo futuro potranno, di nuovo, stravolgere gli equilibri dell’opinione pubblica israeliana».

La maggioranza relativa dei seggi della Knesset va al partito di centro Kadima. Secondo Yossi Bar, corrispondente in Italia per il quotidiano israeliano Maariv,«questo risultato è una vittoria personale del ministro degli esteri uscente Tzipi Livni. Una donna pulita, con un passato impeccabile, che ha salvato il suo partito dallo scandalo sulla corruzione politica che ha coinvolto il primo ministro Ehud Olmert». Secondo Grassi «la leader di Kadima ha dato prova di grande abilità politica. Ricoprirà di certo un ruolo importante nella futura vita pubblica del suo paese. Ma, di certo, non ha il carisma di Golda Meir e Ariel Sharon». In passato, la figura di un leader forte è risultata fondamentale per far accettare al popolo d’Israele delle decisioni dolorose, ma indispensabili, per la prosecuzione del processo di pace.

In generale si registra un ampio slittamento a destra dell’opinione pubblica. Il Likud di Benjamin Netanyahu ha perso solo per un seggio il confronto con Kadima. Mentre il partito Laburista, che con Ben Gurion e Isaac Rabin guidò il popolo israeliano verso l’indipendenza, oggi è solo la quarta forza del Paese. «In realtà – spiega Grassi – questo fenomeno è iniziato dal 2001. La società israeliana è rimasta delusa dalla politica di pace sbandierata, ma mai attuata, della coalizione di centro sinistra». Per Yossi Bar la destra ha vinto grazie al suo programma elettorale per la sicurezza. «Comunque – continua il giornalista – le passate esperienze di Netanyahu al potere sono state piuttosto deludenti». Ma la vera novità di queste elezioni è stata l’affermazione di Israel Beitenu (“Israele Casa Nostra”): il partito, guidato da Avigdor Liberman, che ha presentato all’opinione pubblica un programma elettorale laico e ostile agli arabi israeliani. La destra unita avrebbe i numeri per governare «ma – spiega Yossi Bar – Netanyahu, oltre che con Israel Beitenu, dovrebbe allearsi anche con i religiosi che andrebbero a scontrarsi contro le idee laiche di Liberman. Ricordiamoci che alcune proposte di legge indispensabili per uno stato laico, come quella per il riconoscimento della validità del matrimonio civile, alla Knesset non sono mai passate».

Inoltre il risultato di Israel Beitenu dimostra che in Israele il problema degli arabi con il passaporto israeliano è ancora aperto. In passato, alcuni dei loro rappresentanti hanno più volte denunciato l’esistenza di un atteggiamento discriminatorio che il resto del Paese avrebbe nei loro confronti. Secondo Grassi «il leader di Israel Beitenu esprime con forza una posizione che nel paese ebraico è stata sempre presente». Gli arabi israeliani rappresentano il 22% della popolazione. Di questi la metà, non partecipando alle elezioni, ha scelto di esercitare una forma di dissidenza passiva verso quello che, a tutti gli effetti, è il loro Paese. Ma quello che spaventa veramente gli israeliani è l’alto tasso di natalità dei loro concittadini di etnia araba. Nel 2020 il 30% dei cittadini israeliani con meno di 14 anni sarà arabo. Il popolo di Sion teme una futura islamizzazione del suo stato.

Il successo di Liberman ci mostra la nuova faccia che Israele sta assumendo, soprattutto grazie ai suoi cittadini più giovani: una generazione laica, occidentale e poco sensibile verso i classici ideali sionisti.«Telaviv – spiega il professore –è una metropoli in tutto e per tutto anglosassone: esprime appieno le motivazioni e le aspirazioni della gioventù israeliana». Nazionalista, laica e liberista: sembra questo il futuro della terra di Sion. Ma il disincanto e lo spirito pragmatico di questa nuova generazione, se ben gestita e indirizzata da leader politici capaci, potrebbe anche portare a un’accelerazione del processo di pace.

La possibilità di un accordo tra Israel Beitenu e Kadima non è da escludersi. D’altronde la Livni, durante la campagna elettorale, ha esortato gli arabi israeliani a cercare la loro realizzazione personale nel futuro stato palestinese. Inoltre, in un’alleanza con le forze di centro, Liberman non troverebbe particolari difficoltà nell’attuare il suo programma laico. Quindi gli scenari possibili per il futuro governo israeliano sono ancora tutti aperti. Ma Yossi Bar chiede al suo paese di guardare oltre i suoi confini e di capire che, dopo l’elezione di Obama, il mondo sta cambiando e che, se vuole sopravvivere, anche Israele deve cambiare.


[andrea torrente]

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