Tant’è che lunedì il generale spagnolo Vicente Diaz de Villegas, capo della missione Monuc (Missione Onu per il Congo), si è dimesso dall’incarico dopo meno di due mesi lamentando carenze di mezzi per fronteggiare l’emergenza.
La storia del Congo, grande quanto un quarto dell’intera Europa, è segnata da sempre da una serie di conflitti di solito finalizzati al controllo delle immense risorse naturali di cui il Paese dispone: oro, diamanti, uranio, cobalto, rame , legno pregiato e gomma arabica tra le altre. Sfruttato prima dalla colonizzazione franco-belga, poi dalla più che trentennale dittatura di Sese Seko Mobutu (1965-1997) e infine invaso, a partire dagli anni ’90, dagli eserciti delle nazioni confinanti e da bande mercenarie che non hanno fatto altro che alimentare la guerra civile. Il conflitto in corso, il più grande dai tempi della Seconda guerra mondiale, ha provocato finora circa 4 milioni di morti e 3 milioni di sfollati. A perdere la vita sono in gran parte i civili, in particolar modo bambini. A riguardo, Amnesty International parla di catastrofe umanitaria se la forza schierata sotto l’egida dell’Onu non riuscirà a reggere l’onda d’urto degli scontri. Nel frattempo la comunità internazionale si sta interrogando sulla proposta del Ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner che, in rappresentanza del suo governo, presidente di turno dell’Unione Europea, ha ipotizzato l’invio di un ulteriore contingente di pace europeo a sostegno di quello già presente sul territorio congolese. Oggi, infatti, si riunisce a Bruxelles il comitato politico e di sicurezza dell’Ue proprio per analizzare la proposta francese. Ma il governo inglese ha già detto che “è troppo presto” per pensare ad un possibile invio di truppe europee.
Sulla “questione congolese” abbiamo sentito il giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, da anni inviato nelle zone più calde del globo e in questi giorni impegnato a seguire proprio la crisi della Repubblica Democratica del Congo. «La crisi del Congo nasce da lontano. Innanzitutto dal fatto che non c’è un governo stabile. Dopo la morte di Laurent Kabila (il presidente della Repubblica che rovesciò il regime di Mobutu e che fu ucciso il 16 gennaio 2001 in un attentato), il potere è passato nelle mani di suo figlio Joseph che, a soli 31 anni, non è in grado di gestire una situazione così complessa», sostiene Mastrogiacomo. «Il Paese è ricco di risorse naturali, ma di difficile collocazione; il Ruanda ha da sempre mire espansionistiche e le influenze dei vecchi colonizzatori( Francia e Belgio) si fanno sentire ancora. Tutto ciò ha portato ad una instabilità diffusa: economia fragile, corruzione, esercito governativo allo sbando, difficoltà logistiche e richieste di indipendenza, come nel Kivu, ne sono la diretta conseguenza», aggiunge il giornalista di Repubblica.
Sull’eventualità dell’invio di un contingente di pace sotto l’egida dell’Ue, Daniele Mastrogiacomo ha le idee piuttosto chiare: «Non so se l’invio di un ulteriore contingente possa contribuire ad uscire da questa situazione. Bisogna puntare sugli uomini dell’Onu già presenti nella zona (si tratta della forza multinazionale più numerosa dislocata nel mondo) e dotarli di mezzi qualitativamente superiori rispetto a quelli già in loro possesso. E poi, la proposta francese potrebbe essere figlia di interessi che Parigi potrebbe continuare ad avere sulla sua ex colonia». Quanto alle possibili soluzioni per risolvere la crisi, Mastrogiacomo afferma: «Ci vorrebbero delle trattative vere e proprie condotte dalle Nazioni Unite, e bisognerebbe stabilire delle priorità nel processo di transizione, magari affidandosi ad un referendum popolare». In sostanza, l’inviato di Repubblica spera che possa essere fatta una divisione del territorio più equa rispetto a quella realizzata in passato dai colonizzatori. Ma che sia rispondente, soprattutto, «ai reali interessi delle varie popolazioni locali».
[pierfrancesco loreto]
l'onu ha sbagliato sin dall'inizio a sottovalutare il problema mandando troppe poche truppe ed ora la situazione sta precipitando.
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