Anche Adriano Lombardi è morto, colpito anche lui come tanti altri calciatori dalla sclerosi laterale amiotrofica. Ma perchè questo male incurabile colpisce così tanti giocatori? Un'inchiesta di Guariniello sta indagando le cause, mentre sono ancora troppo pochi i protagonisti del calcio anni '70 e '80 ad accusare il doping di quegli anni. Sla, un'altra vittima nel mondo del calcio
Adriano Lombardi è morto a fine novembre, all’età di 62 anni. Anche lui vittima della sclerosi laterale amiotrofica (Sla), un morbo che negli ultimi decenni ha colpito in modo particolare calciatori ed ex-calciatori, con un’incidenza superiore di venti volte alla media mondiale di due casi su 100mila l’anno. Lombardi aveva giocato a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 in diverse squadre, soprattutto nell’Avellino, divenendone capitano e portandolo in serie A. Ha scoperto di essere affetto dalla Sla nel 2000, vivendone il progressivo decorso senza speranza di guarigione.
E' un caso se il morbo di Gehrig sta dilagando nel mondo del calcio? Per ora i casi resi noti riguardano 57 calciatori, tredici dei quali già deceduti. Dal 2003, in Italia, il procuratore aggiunto di Torino, Raffaele Guariniello, sta portando avanti una inchiesta per fare chiarezza sull’effettivo legame tra sport e Sla. L’analisi epidemiologica disposta dalla procura di Torino, sulla base di un campione di 24mila calciatori del passato, ha stabilito che per i calciatori il rischio di ammalarsi è di cinque volte superiore rispetto agli altri. Gli inquirenti ipotizzano che tra le cause della patologia ci sia l’assunzione prolungata di sostanze dopanti o di farmaci in dosi superiori a quelle normali: il problema è stabilirlo con esattezza. Ma l’omertà dei calciatori è di ostacolo alla verità. Inoltre non tutti possono sapere o ricordare quali sostanze assumessero per aumentare le prestazioni. Il pm Guariniello, dal canto suo, è tornato sulla questione recentemente, lanciando un allarme per il futuro: secondo l’analisi condotta sui casi di Sla più recenti, il rischio di ammalarsi aumenta per chi ha giocato dopo gli anni ‘80. C’è anche chi avanza l’ipotesi che la sclerosi laterale amiotrofica possa essere in questi casi una malattia professionale, dovuta allo stress e agli sforzi prodotti in una carriera sportiva media di venti anni. Restano tutti punti di domanda, a cui la ricerca scientifica e l’indagine giudiziaria in corso vogliono dare una risposta esaustiva il più presto possibile.
La Sla: un morbo senza cause certe né farmaci
La sclerosi laterale amiotrofica (Sla), conosciuta anche come morbo di Lou Gehrig (dal nome del giocatore americano di baseball morto di Sla nel 1941, a 37 anni), è una malattia degenerativa neurologica, di rara diffusione, che provoca una progressiva morte delle cellule motorie. L’effetto è la perdita prima di ogni funzione muscolare, poi della motilità e infine della capacità di nutrirsi autonomamente e di parlare, senza intaccare (di solito) le facoltà cognitive dell’interessato ma portando inevitabilmente al decesso. Non si conoscono ancora le cause precise di questo tipo di sclerosi, i suoi sintomi sono riconoscibili nelle prime manifestazioni e una cura definitiva ancora non esiste: le ricerche medico-scientifiche non si arrestano, ma per ora soltanto un farmaco, il Rilutek, permette di prolungare la vita.
Carlo Petrini: «Il calcio è peggio della mafia»
Carlo Petrini è un ex-calciatore, che ha militato negli anni ’60 e ’70 in A (Milan, Torino, Roma, Bologna). Oggi sta conducendo una battaglia personale, denunciando il doping degli anni ’70 e portando ad esempio la propria esperienza (in particolare nel libro autobiografico “Nel fango del dio pallone”). Dal 2006 Petrini fa parte, insieme ad altri ex-calciatori, dell’Associazione Vittime del doping, fondata dai familiari del centrocampista della Fiorentina Bruno Beatrice, morto di leucemia nel 1987. Proprio in seguito alla denuncia specifica della moglie di Beatrice, è stata aperta l’indagine coordinata da Guariniello sui casi di Sla nel calcio. Petrini in tempi recenti ha fatto notare che i casi di Sla tra i calciatori sono molti di più di quelli portati alla ribalta da stampa e televisione: sarebbero centinaia, ma sconosciuti perché le persone affette militavano in squadre di serie minori. «È una delle prime cose che ti insegnano: non dire niente e nega l’evidenza – spiega Petrini, ricordando l’abuso di farmaci che veniva fatto negli anni ’70 e accusando l’omertà presente in questo sport –. Molti ex-giocatori sono rimasti nel mondo del calcio. O hanno ancora oggi paura di parlare. Il calcio è peggio della mafia». Sul futuro del calcio e sulla possibilità che il doping venga sconfitto, Petrini è pessimista: «Noi facevamo trenta partite all’anno e con la velocità del calcio di quei tempi. Oggi ne fanno il doppio, e a un ritmo di twist. Inoltre i giocatori leggermente infortunati vengono mandati in campo senza aspettare i normali tempi di recupero. Come fanno ad andare avanti?».
[luca salvi]
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